Sviluppo economico e giustizia sociale Necessaria all’accrescimento economico e al progresso umano, l’introduzione dell’industria è insieme segno e fattore di sviluppo. Mediante l’applicazione tenace della sua intelligenza e del suo lavoro, l’uomo strappa a poco a poco i suoi segreti alla natura, favorendo un miglior uso delle sue ricchezze. Mentre imprime una disciplina alle sue abitudini, egli sviluppa del pari in se stesso il gusto della ricerca e dell’invenzione, l’accettazione del rischio calcolato, l’audacia nell’intraprendere, l’iniziativa generosa, il senso delle responsabilità.
Ma su queste condizioni nuove della società si è malauguratamente instaurato un sistema, che considerava il profitto come motivo essenziale del progresso economico, la concorrenza come legge suprema del]’economia, la proprietà privata dei mezzi di produzione come un diritto assoluto, senza limiti né obblighi sociali corrispondenti.
Tale liberalismo senza freno conduceva alla dittatura a buon diritto denunciata da Pio XI come generatrice dell’« imperialismo internazionale del denaro ». Non si condanneranno mai abbastanza simili abusi, ricordando ancora una volta solennemente che l’economia è al servizio dell’uomo. Ma se è vero che un certo capitalismo è stato la fonte di tante sofferenze, di tante ingiustizie e lotte fratricide, di cui perdurano gli effetti, errato sarebbe attribuire alla industrializzazione stessa dei mali che sono dovuti al nefasto sistema che accompagnava.
Bisogna, al contrario, e per debito di giustizia, riconoscere l’apporto insostituibile dell’organizzazione del lavoro e del progresso industriale all’opera dello sviluppo. Cosi pure, se è vero che talvolta può imporsi una mistica esagerata del lavoro, non tè men vero che questo è voluto e benedetto da Dio.
Creato a sua immagine, « l’uomo deve cooperare col Creatore al compimento della creazione, e segnare la sua volta la terra dell’impronta spirituale che egli stesso ha ricevuto>>;
Dio, che ha dotato l’uomo d’intelligenza, d’immaginazione e di sensibilità, gli ha in tal modo fornito il mezzo onde portare in certo modo a compimento la sua opera: sia egli artista o artigiano, imprenditore, operaio o contadino, ogni lavoratore è un creatore. Chino su una materia che gli resiste, il lavoratore le imprime il suo segno, sviluppando nel contempo la sua tenacia, la sua ingegnosità e il suo spirito d’invenzione. Diremo di più: vissuto in comune, condividendo speranze, sofferenze, ambizioni e gioie, il lavoro unisce le volontà, ravvicina gli spiriti e fonde i cuori nel compierlo, gli uomini si scoprono fratelli. Si danno certo delle situazioni la cui ingiustizia grida Verso il cielo.
Quando popolazioni intere, sprovviste del necessario, vivono in uno stato di dipendenza tale da impedir loro qualsiasi iniziativa e responsabilità, e anche ogni possibilità di promozione culturale e di partecipazione alla vita sociale e politica, grande è la tentazione di respingere con la violenza simili ingiurie alla dignità umana. E tuttavia lo sappiamo: l’insurrezione rivoluzionaria salvo nel caso di una tirannia evidente e prolungata che attentasse gravemente ai diritti fondamentali della persona e nuocesse in modo pericoloso al bene comune del paese – è fonte di nuove ingiustizie, introduce nuovi squilibri e provoca nuove rovine. Non -si può combattere un male reale a prezzo di un male più grande.
Ci si intenda bene: la situazione presente deve essere affrontata coraggiosamente le ingiustizie ch’essa comporta combattute e vinte. Lo sviluppo esige delle trasformazioni audaci, profondamente innovatrici. Riforme urgenti devono essere intraprese senza indugio. A ciascuno di assumersi generosamente la sua parte, soprattutto a quelli che per la loro educazione, la loro situazione, il loro potere, si trovano ad avere delle grandi possibilità d’azione. Che, pagando esemplarmente di persona, essi non esitino a incidere su quello che è loro, come hanno fatto diversi dei nostri fratelli nell’episcopato. Risponderanno cosi all’attesa degli uomini e saranno fedeli allo Spirito di Dio: giacché è « il fermento evangelico che ha suscitato e suscita nel cuore umano una esigenza incoercibile di dignità ». La sola iniziativa individuale le il semplice giuoco della concorrenza non potrebbero assicurare il successo dello sviluppo. Non bisogna correre il rischio di accrescere ulteriormente la ricchezza dei ricchi e la potenza dei forti, ribadendo la miseria dei poveri e rendendo più pesante la servitù degli oppressi. Sono dunque necessari dei programmi per incoraggiare, stimolare, coordinare, supplire e integrare » l’azione degli individui e dei corpi intermedi. Spetta ai poteri pubblici di scegliere, o anche di imporre, gli obiettivi da perseguire, i traguardi da raggiungere, ti mezzi onde pervenirvi, tocca ad essi stimolare tutte le forze organizzate in questa azione comune. Ma devono aver cura di associare a quest’opera le iniziative private e i corpi intermedi, evitando in tal modo il pericolo d’una collettivizzazione integrale o d’una pianificazione arbitraria che, negatrici di libertà come sono, escluderebbero l’esercizio dei diritti fondamentali della persona umana. Giacché ogni programma, elaborato per aumentare la produzione, non ha in definitiva altra ragione d’essere che il servizio della persona. La sua funzione è di ridurre le disuguaglianze, combattere le discriminazioni, liberare l’uomo dalle sue servitù, renderlo capace di divenire lui stesso attore responsabile del suo miglioramento materiale, del suo progresso morale, dello svolgimento pieno del suo destino spirituale. Dire sviluppo è in effetti dire qualcosa che investe tanto il progresso sociale che la crescita economica. Non basta accrescere la ricchezza comune perché sia equamente ripartita, non basta promuovere la tecnica perché la terra diventi più umana da abitare. Coloro che sono sulla via dello sviluppo devono imparare dagli errori di coloro che hanno sperimentato prima tale strada quali sono i pericoli da evitare in questo campo. La tecnocrazia di domani può essere fonte di mali non meno temibili che il liberalismo di ieri. Economia e tecnica non hanno senso che in rapporto all’uomo ch’esse devono asservire. E l’uomo non è veramente uomo che nella misura in cui, padrone delle proprie azioni e giudice del loro valore, diventa egli stesso autore del proprio progresso, in conformità con la natura che gli ha dato il suo Creatore e di cui egli assume liberamente le possibilità e le esigenze.
Papa Paolo VI Dall’enciclica Populorum Progressio, 26 marzo 1967.